Rivista XLIX (2009) - fasc. 1
L’obiettivo che con il saggio si persegue è il seguente: porre mano a una lettura del volontarismo di Scoto in termini di libertà creativa, alimento della verità (pluralismo). Incidere su tale razionalità è possibile a condizione che – ed è un principio generale – si pervenga a una gratuità originaria, fontale, che si offre per ciò che è , senza altra finalità , e pertanto in grado di frenare l’istinto possessivo a beneficio di quello oblativo. Non si tratta del bene alternativo al vero, ma del bene come anima del vero, un’anima autentica se gratuita. Che cos’è il mondo se non la forma (verità ) e dunque la disciplina, cui Dio sottopone il suo gesto creativo? e che cosa è ognuno di noi se non la forma che il proprio sogno d’amore viene ssumendo nel tempo? Il vero, rivestimento del bene, e il bene frutto dell’immaginazione creativa, messa in moto dalla volonta` del tutto gratuita di accrescere la festa dell’essere.
Questo obiettivo cerco di raggiungerlo attraverso questi momenti: 1. liberare la verità , sia di Dio che dell’uomo, perchè torni a essere funzionale alla libertà creativa, volto autentico dell’essere. La verità della libertà consiste, infatti, nella liberazione della verità dalla rete logica con cui per lo più la pensiamo soffocandola. 2. Mostrare che la logica della libertà – la sua verità – è la logica dell’oblazione, non del possessso; dell’eccedenza, non della proporzione e dell’equilibrio. 3. Infine, l’altezza del progetto impone che si stringa un rapporto vivente con Dio che, rendendosi presente nell’impossibile-per-noi – creazione e redenzione –, rende possibile ciò che per noi è impossibile.
La conclusione, cui il saggio conduce, è a) che libertà e ardimento, creatività e rischio sono i segni dell’avventura speculativa, e b) che questa libertà ha senso se progettata nella logica del dono, autentica rivoluzione nella rivoluzione, perchè sempre altra e altrove, rispetto alla ragione.
The aim of this essay is to consider Scoto’s voluntarism in terms of freedom in the act of creation as nourishment of truth (pluralism). On a general basis, the contemplation of such a rationalist thought is possible only if the original gratuitousness is seen as deprived of any possessive instincts: good is authentic as long as it is free; hence, it becomes the core of truth. What is the world if not the discipline behind God’s act of creation?
These are the three main steps through which I tried to achieve the aim abovementioned. 1) Freedom has to be functional to the act of creation; the truth of freedom has to be found out of the net of logic into which humans congest it. 2) The sense of freedom – in its truthfulness – lies in the sense of oblation, and does not belong to possession. 3) God makes possible what it is impossible for us (creation and redemption).
In conclusion, a) freedom and courage, say creation and risk, are the signs of a speculative adventure; b) such a freedom finds its sense only if projected into the logic of donation.
Il contributo si sofferma sull’originalità del pensiero teologico e filosofico di Duns Scoto. Il «Dottore sottile» ha posto come centro della sua ricerca la libertà assoluta di Dio. Deus vult quia vult. La libertà è il cuore stesso di Dio, il quale non può scegliere di non essere Dio, e tuttavia «suum velle est essentia sua». Ciò vale sia per il tema della creazione sia in riferimento all’economia della salvezza. Così, la predestinazione in Cristo può essere considerata come la ragione e il fondamento ultimo delle attese più profonde dell’uomo.
Dio crea perchè lo vuole. La realtà di Dio e dell’uomo è pensata da Scoto in ordine al Bene e all’Amore: entrambi effusivi per natura. Il logos umano, la ragione, è scossa da questo significato della Volontà e della Libertà . Scoto riesce ad articolare in modo magistrale il rapporto dialogico tra fede e ragione, o anche tra logos e rivelazione. Egli chiama a un nuovo dialogo il credere e il sapere: sono questi declinati come due metà dell’umano, metà evidentemente non facilmente gerarchizzabili, non riconducibili a unita` , quanto come co-appartenersi di credere e sapere, di filosofia e rivelazione.
This contribution lingers over the originality of Duns Scoto’s theological and philosophical thought. The so-called «sharp Doctor’’ puts God’s absolute freedom in the middle of his research. Deus vult quia vult. Freedom is God’s heart; God cannot choose not be God, and ‘‘suum velle est essentia suà’. Such a consideration is valid both in relation to the theme of creation and to the economy of salvation. Hence, predestination in Christ can be deemed as the reason and the ultimate foundation of the deepest expectations of mankind.
God creates because He does want to create. Scoto contemplates the reality of God and mankind in therms of Good and Love: both are effusive in their own nature. Human logos, say reason, is prostrated by the meaning of Will and Freedom. Scoto extraordinarily argues the dialogic relationship between faith and reason, as well as between logos and revelation. In this way, belief and knowledge are regarded as two halves of a human being: two parts which are not easily hierachizable, not referable to a unit, since they belong to each other.
La dottrina aristotelica dell’individuazione per mezzo della materia e la distinzione tomistica tra la materia e la «materia signata» viene criticata da Giovanni Duns Scoto in base all’assunto che nulla che appartiene alla essenza di una realtà individuale può servire per determinarne la natura individuale. Pertanto, per il doctor subtilis l’«ultima realitas entis» non può essere colta per mezzo dei costituenti essenziali dell’individuo e anzi non puo` essere conosciuta in questa vita. Edith Stein sembra accogliere queste critiche al tomismo quando sostiene che il principium individuationis deve essere trovato fuori della species alla quale l’individuo appartiene e che, in fine, la differenza essenziale dell’individuo non è veramente comprensibile.
Aristotelian individuation by matter and the thomistic distinction between undesignated matter and designated matter is deeply criticized by John Duns Scotus on the basis that nothing belonging to the essence of the individual can be accounted to explain individuation. Thus for the doctor subtilis the «ultima realitas entis» can’t be captured by means of the essential constituents of the individual and yet can’t be knowable in this life. Edith Stein seems to be echoing this critics by sustaining that the principium individuationis is to be found outside of the species to which the individual belongs and that at last individual essential difference is always far from a complete intellectual comprehension.
Scoto rappresenta in pieno il filone personalista della filosofia pratica tanto diffuso nel Medioevo latino. In particolare, egli utilizza la nozione di persona per descrivere la realtà ontologica della libertà dell’essere umano, che si dipana in una serie di domini che vanno dal metafisico al politico. Questa persona è una realtà distinta dall’individuo, e proprio per questo produce una filosofia pratica che si distingue da quella che caratterizzerà un autore come Hobbes. Nella sua prospettiva di volontarismo ontologico, Scoto si propone di costruire una teoria della normatività che coglie le varie dimensioni dal giuridico al politico passando per l’economico. In particolare, vorrei qui proporre un’argomentazione in forza della quale chiarisco in che senso non si debba dire che Scoto proponga una teoria del contratto sociale: per questo scopo, è necessario porre delle distinzioni tra l’uso scotiano di concetti come volontà e legittimità rispetto alla tradizione del pensiero filosofico moderno.
Scotus represents strongly the personalist approach of the practical philosophy largely present in the Latin Middle Ages. Particularly, he uses the notion of person to describe the ontological reality of the freedom of the human being, that is unraveled in a series of areas coming from the metaphysician to the political one. This person is a reality distinguished by the individual, and really for this she produces a practical philosophy that distinguishes itself from the philosophy that will characterize an author as Hobbes. In a perspective of ontological voluntarism, Scotus proposes to build a theory of normativity concerning various spheres, from the juridical one to the political passing for the economical one. I would like here particularly to propose a reasoning in strength of which I stress how you cannot say that Scotus proposes a theory of the social contract: for this purpose, it is necessary to set some distinctions among the scotian use of concepts as will and legitimacy in comparison to the tradition of the modern philosophical thought.
Questo articolo si propone di dimostrare come nel XIII secolo la teologia trinitaria e la metafisica della creazione cristiana siano state la condizione di possibilità della genesi e primo sviluppo della dottrina dei trascendentali, tematizzati per la prima volta come communissima nella Summa de bono di Filippo il Cancelliere.
Iniziando col riproporre i risultati dei principali studi emersi negli ultimi anni su tale argomento di ricerca, abbiamo mostrato come, partendo da una prospettiva che vedeva il primo sviluppo delle proprietà trascendentali in ambito prettamente filosofico e solo in chiave logico-epistemologica (in quanto termini predicabili universalmente secondo il principio dell’intercategorialità derivante dall’influsso del peripatetismo greco-arabo e specialmente del Liber de Philosophia prima di Avicenna), alcuni studiosi abbiano progressivamente ampliato l’orizzonte di ricerca al versante teologico. Difatti, nella prima elaborazione dei communissima è messa in evidenza non tanto la predicabilità universale di ens, unum, verum e bonum, quanto la loro accezione ontologica, segno dei vestigia trinitatis partecipati da Dio al mondo e alle creature in virtù della stessa bontà divina.
Successivamente, l’articolo intende mettere in luce come tale tesi trovi conferma nelle tante somiglianze che accomunano la prima parte della Summa de bono con il trattato De divina unitate, veritate et bonitate della Summa Halensis. A distanza di pochi anni dall’elaborazione del Cancelliere, nella Summa Halensis si trova la prima applicazione della dottrina dei «communissima-trascendentali» in un contesto di teologia trinitaria, avvalorata dal fatto che il trattato sull’unità, verità e bontà divine ripropone le medesime definizioni, questioni e argomentazioni della summa del Cancelliere.
This article aims to show how in the thirteenth century Trinitarian Theology and Christian Metaphysics of creation have been the condition of possibility of the early development of Transcendental’s doctrine, themed for the first time as communissima in Philip the Chancellor’s Summa de bono.
Beginning with reproposing the results of the main studies emerged during the last few years about Transcendental’s doctrine, we have shown how, from a perspective that considered the first development of Transcendental properties in a purely logical and epistemological Philosophy – mainly mediated by Avicenna’s Liber de Philosophia prima –, some Authors have gradually expanded the research at Theology. As a matter of fact, the first communissima’s elaboration shows not only the universal predicability of ens, unum, verum, and bonum, but also their ontological sense as vestigia Trinitatis participated from God to the world and creatures because of divine goodness.
Then, the article aims to prove how the Theological meaning is confirmed in the many similarities between the first part of Summa de bono and Summa Halensis' treatise De divina unitate, veritate et bonitate. After a few years from Chancellor’s elaboration, in the Summa Halensis we can find the first application of Transcendental’s doctrine in a Trinitarian Theological context. In fact this is confirmed by the same definitions, issues and arguments in both Medieval Summae.
Il contributo mira a restituire una nuova ipotesi ricostruttiva dell’altare del Santo a Padova, realizzato da Donatello negli anni Cinquanta del Quattrocento. L’analisi proporzionale della composizione, basata sul rilievo diretto dei pezzi superstiti (sia di quelli reimpiegati da Camillo Boito nel riassetto dato all’altare nel 1895, sia degli «orecchioni» attualmente collocati nell’atrio della Biblioteca all’interno della Basilica), eseguito in braccia fiorentine, oltre che in centimetri, è affiancata all’attenta lettura morfologica delle membrature e al confronto dell’opera con altre realizzazioni coeve. Sono state inoltre analizzate alcune delle ipotesi ricostruttive dell’altare più convincenti tra quelle proposte nei due secoli trascorsi, ovvero quelle di Giuseppe Fiocco-Antonio Sartori, di John White e di Andrea Calore (a queste ricostruzioni è dedicato uno specifico spazio all’interno del saggio). A conclusione dello studio viene dunque presentata una proposta ricostruttiva del monumento con alcune importanti novità critiche, come si evince dalla relativa restituzione grafica (il nuovo proporzionamento generale ipotizzato è corredato dalle corrispondenti misure riportate in centimetri e braccia) che mostra un diverso coronamento dell’impianto e quindi un mutato costrutto architettonico rispetto al modello invariato di tutte le precedenti ipotesi.
This paper aims at suggesting a new proposal to restore the Saint’s Altar in Padua, made by Donatello in the 1450’s. The proportional analysis of the Altar’s composition, based on the direct relief of surviving pieces (both those re-used by Camillo Boito in the reorganization of the Altar in 1895, and the trunnions, now in the Library’s entrance hall inside the Basilica), carried out in ells as well as in centimetres, is supported by a careful morphological understanding of its framework and by its comparison with other contemporary works. Some of the most convincing restoration proposals of the Altar, suggested over the past two centuries, i.e. those by Giuseppe Fiocco-Antonio Sartori, John White and Andrea Calore, have also been analysed (a specific part of this paper is dedicated to such proposals). Therefore, at the end of our paper, we suggest a restoration proposal of the monument, together with some important critical changes, as one can gather from the corresponding graphic illustration (the new general proportionality proposed is supplied with the corresponding measurements in ells and centimetres) which demonstrates a different completion of the structure and thus, a new architectural construction with respect to the unaltered model of previous proposals.
Nell’articolo si forniscono notizie sullo scultore Augusto Felici, che nel 1894-1895 modellò una nuova statua di sant’Antonio da collocarsi nella nicchia della facciata della Basilica. Nel 1940 la statua venne sostituita con un’altra, opera di Napoleone Martinuzzi. L’opera del Felici venne collocata nel giardino della «Casa del Pellegrino», adiacente alla Basilica, dove tutt’ora si trova.
Vengono inoltre offerte alcune informazioni sull’attività artistica svolta dal Felici, soprattutto negli anni trascorsi in India, alla corte del maharaja di Barada.
The article provides information about the sculptor Augusto Felici. In 1894- 1895, the artist moulded a new statue of St. Anthony to be settled on the fac¸ade of the Basilica. Moreover, he had an intense production in India while working at the Court of the Maharaja of Baroda.