Rivista LIX (2019) - fascc. 1-2
Sommario/ abstract non disponibile
SOMMARIO
Il contributo, dopo aver brevemente richiamato il profilo biografico del padre Vincenzo Coronelli, pone attenzione soprattutto al contesto veneziano in cui maturò la sua attività di editore, di cartografo e geografo nel convento di Santa Maria Gloriosa dei Frari. Pervenuto al generalato dell’Ordine e destituito in modo ingiusto, ritornò amareggiato nella sua Venezia. Osteggiato nel convento dei Frari, si isolò lavorando intensamente alla sua attività editoriale fino alla morte sopraggiunta nel 1718. Molto materiale che aveva prodotto andò disperso, in parte recuperato nella Pubblica Libraria Marciana, rifusi i rami che erano serviti per la stampa. Su di lui calò un prolungato silenzio, legato anche alle vicende storiche delle soppres-ioni ecclesiastiche.
Parole chiave: Vincenzo Coronelli; Venezia; Convento Santa Maria Gloriosa dei Frari; San Nicolò della Lattuga.
SUMMARY
After briefly recalling the biographical profile of fr. Vincenzo Coronelli, this contribution pay particular attention to the Venetian environment where fr. Coronelli developed his work as editor, cartographer and geographer in the friary of Santa Maria Gloriosa dei Frari. Coronelli became General of the Franciscan Conventual Order but then, unjustly deposed, he returned embittered to his Venice. He was opposed by the friars of his monastery and, isolating himself, he worked intensely to his editorial activity until his death in 1718. Much of what he had produced was lost, partly recovered in the Marciana Public Library, the copper plates used for printmaking were remelted. About Coronelli a long silence reigned, also related to the historical events of ecclesiastical suppressions.
Keywords: Vincenzo Coronelli Franciscan conventual; Venice; Franciscan Convent St. Maria Gloriosa dei Frari; Convent St. Nicolò della Lattuga.
SOMMARIO
L’articolo vuole delineare le linee di governo del fr. Vincenzo Coronelli, all’indomani della sua elezione a ministro generale dell’Ordine. Vengono tracciate le modalita` da lui utilizzate per portare a compimento i suoi obiettivi, quali la visita alle giurisdizioni dell’Ordine, lettere, manuali. Attraverso la descrizione dettagliata della sua visita canonica in Assisi, abbiamo reso evidente la modalita` di azione e di rapporto con i frati. Di carattere zelante ma spigoloso, Coronelli intreccio` relazioni talvolta conflittuali che posero le basi per la dimissione da ministro generale e il conseguente ritiro a Venezia, dove lo colse la morte nel 1718, all’eta` di sessantotto anni.
Parole chiave: Vincenzo Coronelli; Governo; Ordine dei frati Minori Conventuali; Dimissioni; Venezia.
SUMMARY
This article aims to outline the Order’s governance guidelines of friar Vincenzo
Coronelli, following his election as Minister General. It delineates his means of bringing about his goals, namely: visits to the Order’s jurisdictions, letters, manuals. Through the detailed description of his canonical visitation to Assisi, we have highlighted his method of action and relationship with the friars. All this brought out Coronelli’s zealous but rough around the edges character, such that it built up a series of somewhat conflicting relations: those, in turn, laid the way for his dismissal as Minister General and his consequent withdrawal to Venice, where he died in 1718 at the age of 68.
Keywords: Vincenzo Coronelli; Government; Franciscan Conventual Order; Resig- nation; Venice.
SOMMARIO
Vincenzo Coronelli è considerato uno dei maggiori costruttori di globi terresti e celesti, oltre che geografo, cartografo e cosmografo. Un’analisi delle sue opere di contenuto astronomico, dai globi agli scritti, suggerisce invece come le sue conoscenze dei grandi sviluppi cui stava andando incontro l’astronomia del Seicento non fossero particolarmente approfondite o, comunque, come egli ritenesse più rilevante il dare rilievo alla sua vasta erudizione e il soddisfare la curiosità del suo pubblico, anche con approfondimenti astrologici, che l’affrontare temi relativi agli studi astronomici della sua epoca. Resta in generale il tono e l’atteggiamento dell’informato cronista, spesso inabile a fornire i motivi più tecnici e profondi delle discussioni scientifiche: un caso particolare è fornito dal resoconto sui sistemi del mondo elaborati nel corso del diciassettesimo secolo.
Parole chiave: Vincenzo Coronelli; Globografi; Globi celesti; Astronomia del Seicento; Dibattito sui sistemi del mondo.
SUMMARY
Vincenzo Coronelli is considered one of the greatest terrestrial and celestial globemakers, as well as geographer, cartographer and cosmographer. An analysis of his astronomical works, from globes to the writings, suggests instead as his knowledge of major developments which the astronomy of the seventeenth century was going through was not particularly thorough, or, however, as he deemed more relevant giving prominence to his vast erudition and satisfying the curiosity of its audience, even with astrological insights, that addressing issues related to astronomical studies of his time. In general, the tone and attitude of the informed reporter remains, often unable to provide the most technical and profound reasons for scientific discussions: a particular case is provided by the report on the world’s systems drawn up during the seventeenth century.
Keywords: Vincenzo Coronelli; Globemakers; Celestial globes; 17th-century astronomy; World-systems debate.
SOMMARIO
Dopo una sintetica esposizione di alcuni tratti caratteristici dell’enciclopedismo coronelliano, viene presa in particolare considerazione l’opera del francescano Bonaventura Capridoni. Di questa infatti il Coronelli sembra aver fatto un largo e disinvolto uso senza pero` far mai esplicito riferimento al vero autore.
Parole chiave: Vincenzo Coronelli; Enciclopedismo; Bonaventura Capridoni.
SUMMARY
After a brief exposition of some typical traits of Coronellian encyclopedism, the work of the Franciscan Bonaventura Capridoni is taken into particular consideration. In fact Coronelli seems to have made a wide and casual use of this, although he never makes explicit reference to the true author.
Keywords: Vincenzo Coronelli; Encyclopedism; Bonaventura Capridoni.
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SOMMARIO
Lo studio affronta le vicende relative alla costruzione del convento di Sant’Antonio di Padova di Palermo, avvenuta nel corso degli anni trenta del Seicento, in un terreno donato da donna Margherita Mirabile, posto fuori dalla Porta di Vicari. I frati Minori riformati della custodia del Val di Mazara, nel corso degli anni venti del Seicento, caldeggiarono profondamente la fondazione di una nuova dimora a Palermo, tanto più che il loro convento palermitano di Santa Maria di Gesù si trovava in una zona piuttosto periferica e in quanto erano considerevolmente aumentati i bisogni dei frati infermi, per i quali era necessario portarsi sempre più spesso in città . Per questi motivi, avendo ottenuto il consenso dei superiori e del senato di Palermo, nel mese di giugno 1630 ebbero inizio i lavori di costruzione del convento di Sant’Antonio da Padova. Alla sua edificazione presero parte architetti e maestranze specializzate, largamente apprezzate in ambiente siciliano. Ultimata la fabbrica della chiesa e del convento, il senato di Palermo, con deliberazione del 15 giugno 1635, acclamava il santo di Padova patrono della città. Nel corso dello stesso anno, ebbero inizio pure i lavori per la realizzazione della piazza monumentale posta di fronte al convento di Sant’Antonio, progettata dall’architetto Vincenzo La Barbera.
Parole chiave: Convento di Sant’Antonio di Padova; Palermo; Sicilia; Insediamenti francescani riformati; Custodia riformata di Val di Mazara; Architetto Vincenzo La Barbera.
SUMMARY
The present study deals with the events surrounding the construction of Saint Anthony’s from Padua convent in Palermo occurred during the first thirty years of 1600, in a property granted by Lady Margherita Mirabile, located outside Porta di Vicari. The Reformed Friars Minor of Val di Mazara’s custody, during the 1620s, deeply advocated the foundation of a new settlement in Palermo, so much so that their convent of Saint Mary of Jesus which was located on the far-off outskirts of Palermo could not cope with the sick friars’ growing needs and for whom it was necessary to travel to the centre of the city more and more. Due to these reasons, with the consent of the Superiors and of the Senate of Palermo, the construction of Saint Anthony’s from Padua convent commenced in June 1630. Renowned architects all over the Sicilian isle as well as some talented workforce participated in its erection. After the building of the Church and the convent was finished, the Senate of Palermo formally hailed Saint Anthony from Padua as patron of the city on June 15th 1635. In the same year the construction of the monumental square near Saint Antonio’s convent, with the design by the architect Vincenzo La Barbera, took place.
Keywords: Saint Anthony’s from Padua Convent; Palermo; Sicily; Reformed Franciscans’ settlements; Val di Mazara’s Reformed Custody; Vincenzo La Barbera architect.
SOMMARIO
Nel 1965 una folta delegazione di vescovi indiani si recò in pellegrinaggio a Tolentino. Da questo episodio prendo avvio per rievocare il martirio di quattro frati Minori, avvenuto a Thane il 9 e l’11 aprile 1321. Odorico da Pordenone ne trasporta le reliquie in Cina e la sua Relatio ne fissa la memoria e favorisce la nascita di un culto spontaneo in Italia e in Oriente. Qui alla fine del XIV secolo il ricordo dei martiri si perde a causa del collasso della rete missionaria dei frati Minori e Predicatori e dell’estinzione delle comunità cattoliche cui essi avevano dato vita. Nel 1500 con le navi di Pedro Àlvares Cabral giungono in India i primi francescani portoghesi. La loro opera, prima dell’arrivo dei gesuiti, getta le basi della Chiesa indiana. E all’inizio del XVII secolo, nel quadro della ‘‘costruzione’’ di una memoria francescana in India, il martirio del 1321 viene recuperato come episodio fondativo della primazia missionaria dei frati Minori. Ma quando la loro presenza viene cancellata dalla soppressione degli ordini religiosi, decretata da Lisbona nel 1834, il ricordo dei martiri di Thane sembra destinato a perdersi per sempre. Non sarà così, perché nel 1914 la Sacra Congregazione dei Riti inserisce l’ufficio e la messa del beato Tommaso da Tolentino nel calendario dell’arcidiocesi di Goa e della diocesi di Damão. Una nuova storia inizia, anche grazie alla presenza di una reliquia di Tommaso.
Parole chiave: Martiri di Thane; Tommaso da Tolentino; Francescani in India; Saint-John the Baptist Church di Thane.
SUMMARY
In 1965 a large delegation of Indian Bishops went on a pilgrimage to Tolentino. Such episode is my starting point for recalling the martyrdom of four Friars Minor, which took place in Thane on 9th and 11th April 1321. Odoric of Pordenone brings their relics to China and his Relatio records the facts and favours the beginning of a spontaneous worship in Italy and in the East. As for the latter place, at the end of the XIV century the memory of the Martyrs fades away, due to the collapse of the missionary network of the Friars Minor and Preachers as well as to the extinction of the Catholic communities they founded. In 1500 the first Portuguese Franciscan friars land in India with the ships of Pedro Àlvares Cabral. Their work, before the arrival of the Jesuits, lays the foundation of the Catholic Church in India.
Then, at the beginning of the XVII century, in the context of the will to created a memory of the Franciscan Order in India, the martyrdom of 1321 is retrieved and seen as a key episode of the missionary primacy of the Friars Minor. When the latter disappear, due to the suppression of the Religious Orders decreed by Lisbon in 1834, it seems that the memory of the Martyrs of Thane will be lost forever in India. But such thing will not happen, because in 1914 the Sacred Congregation of the Rites introduces the Office and Mass in honour of Blessed Thomas of Tolentino in the Calendars of the Archidiocese of Goa and the Diocese of Daman. A new history begins, also thanks to the presence of a relic of Thomas.
Keywords: Martyrs of Thane; Thomas of Tolentino; Franciscans in India; Sainf John the Baptist Church of Thane.
SOMMARIO
Il recente restauro dell’affresco sulla parete settentrionale della cappella della Madonna Mora, collocato a sinistra dell’ingresso al sacello del beato Luca Belludi, ha fornito l’opportunità di approntare uno studio specifico e particolareggiato su un episodio artistico pressoché sconosciuto della basilica del Santo. Oltre che per le rovinose condizioni conservative, la pittura murale ha sofferto della disattenzione della critica anche a causa dell’incomprensione del suo soggetto, scambiato per una semplice scena votiva. Essa raffigura in realtà un momento ben preciso della vicenda cristologica, il Congedo di Cristo dalla madre prima della passione: si tratta di un tema che ebbe particolare sviluppo all’inizio del Cinquecento e di cui le testimonianze più antiche, fino ad ora, ne collocavano la genesi in area tedesca nei primi decenni del XV secolo. Riconosciuta la corretta iconografia dell’immagine e la peculiarità di una datazione ‘‘alta’’ entro la fine del Trecento, il presente studio ne ha rintracciato l’origine nella letteratura devozionale e nel dramma sacro, conclusione supportata anche dalla presenza dell’iscrizione ‘‘dialogata’’ all’interno della raffigurazione.
Una seconda pista d’indagine si è concentrata sull’individuazione dell’identità dei due committenti, che si è proposto di riconoscere in Gerardo Negri e nella moglie Buzzacarina Buzzacarini: sarebbe stata quest’ultima, in particolare, a commissionare la pittura per commemorare il marito, già defunto nel febbraio del 1372. Concorrono a una simile ipotesi tanto il valore funerario dell’iconografia del Congedo, quanto la stretta contiguità del riquadro affrescato con il sepolcro di famiglia che Gerardo Negri ebbe l’autorizzazione a collocare nella cappella della Madonna Mora a partire dal 1371. Le circostanze ‘‘esterne’’ che inducono a collocare la realizzazione dell’affresco in questo giro d’anni sono confermate anche da considerazioni stilistiche, per cui l’attribuzione già proposta in sede critica a Giusto de’ Menabuoi, da poco giunto a Padova dopo l’esperienza lombarda, è stata avvalorata da nuovi confronti. Alla mano del maestro sembra di poter avvicinare un secondo affresco in basilica, la ‘‘Vera effigie’’ di sant’Antonio sita nel pilastro del presbiterio prospiciente la cappella della Madonna Mora: ad essa, frutto di un restauro svoltosi in concomitanza con quello sul Congedo, è riservata la postilla in chiusura di articolo.
Parole chiave: Cappella della Madonna Mora; Congedo di Cristo dalla Madre; Meditationes Vitae Christi; Drammi sacri; Famiglia Negri; Gerardo Negri; Buzzacarina Buzzacarini; Giusto de’ Menabuoi; Vera effigie di sant’Antonio.
SUMMARY
Thanks to the recent restoration, it has been possible to devout a detailed study to a fresco on the northern wall of the Madonna Mora chapel, so far neglected in the artistic literature on the Santo due to its poor state of conservation and the misunderstanding of its subject. The painting, always believed as a votive mural, depicts instead a specific episode of Christ’s life, i.e. the farewell between the Savior and his mother Mary in Bethany before the Passion, generally known as Christ taking leave of his mother. Mainly spread between the late 15th and the 16th centuries, the subject was believed to be born in Northern Europe around the first decades of the 1400: in these respects, the fresco of the Santo now represents the earliest depiction of the scene.
The first aim of the paper is to trace back the origins of this peculiar iconography to the Meditationes Vitae Christi and the Passion plays developed during the 14th century: there is reason to believe that the religious drama was the primary source for the genesis of scene, as the dialogic inscription on the upper part of the fresco (now almost faded) seems to demonstrate.
The second part of the article regards the patronage: excluded the role of the confraternity of St Anthony, who used the chapel of the Madonna Mora and was in charge of the altar on the eastern wall, the painting could have been commissioned by the Negri family. Indeed, Gerardo Negri first obtained the right to maintain the chapel together with the confraternity in 1364, and then – in 1371– the concession to place his tomb on the left corner of the northern wall. Needless to remark the strict connection between the burial site and the painting: therefore, the image would have become part of the Negri funerary monument, to commemorate their dead and first of all Gerardo, whose death could be dated within the February 1372. The arrangement of the tomb on the wall seems to precede the fresco, suggesting the intervention of Buzzacarina Buzzacarini, Gerardo’s wife, as its commissioner.
The dating of the image around the early Seventies of the 14th century could also be confirmed by a stylistic approach: correctly given to Giusto de’ Menabuoi by Ferrari and Bettini, but just en passant, the attribution can be confirmed here thanks to new comparisons. In the end, the author considers another fresco of the Santo, depicting St Anthony’s ‘‘true image’’, and proposes an attribution to the same painter.
Keywords: Madonna Mora chapel; Christ taking leave of his mother; Meditationes Vitae Christi; Religious drama; Negri family; Gerardo Negri; Buzzacarina Buzzacarini; Giusto de’ Menabuoi; St Anthony’s ‘‘true image’’.
SOMMARIO
Grazie ai recenti interventi di pulitura e restauro dell’affresco del Congedo di Cristo da Maria nella cappella della Madonna Mora, si è potuto leggere gran parte della lunga iscrizione in volgare dipinta in lettere gotiche, in origine dorate, nella parte superiore della scena, che per i precedenti interpreti dell’opera era indecifrabile o al massimo leggibile solo per singole parole o brevi sequenze isolate, spesso lette o ricostruite in modo errato e risultate perciò fuorvianti (e/o fuorviate) anche rispetto all’interpretazione del soggetto raffigurato. Si è così riconosciuto trattarsi di un testo in prosa – linguisticamente riconducibile all’italoromanzo settentrionale, con pochi latinismi formali e solo leggermente connotato da tratti tipicamente veneti – che in sedici righe racchiude un presunto dialogo in tre battute tra Cristo e la madre al momento del loro commiato precedente alla Passione, in cui è centrale la certezza della risurrezione finale, tema ben consono a un affresco di riconosciuta destinazione funeraria. L’episodio, assente dai vangeli sia canonici che apocrifi, è variamente narrato dalle Meditazioni sulla vita di Cristo, opera devozionale di inizio Trecento attribuita a uno ‘‘pseudo-Bonaventura’’, e dai componimenti letterari in parte derivatine, quali il cantare della Passione di Cristo, composto nel 1364 dal senese Niccolò Cicerchia e assai diffuso in tutta la penisola, e la Devotione de Zobiadı` sancto, una lunga composizione drammatica d’origine umbra (ma linguisticamente venetizzata nell’unico testimone manoscritto pervenutoci, datato 1375), destinata a essere rappresentata nelle chiese inframezzando la predicazione della settimana santa. Proprio con tali opere il testo dell’iscrizione presenta forti punti di contatto semantico, lessicale e sintagmatico, unendo cosı` elementi propri della letteratura edificante con altri tratti dalle laude drammatiche legate alla ritualità collettiva delle confraternite penitenti e destinate ad affiancare la predicazione pubblica: ciò suggerisce che il suo ignoto autore, probabile ‘‘consulente teologico’’ dei committenti del dipinto, fosse un frate a contatto sia col mondo confraternale che con forme culturali e devozionali di livello un po’ più elevato, quali potevano essere espresse da una congregazione di terziari francescani come quella attiva al Santo già prima del 1245 (e almeno dal 1322 aperta alla partecipazione femminile), a cui poteva forse appartenere anche la coppia di committenti rappresentati nell’affresco.
Parole chiave: Cappella della Madonna Mora; Affresco del Congedo di Cristo da Maria; Iscrizione dialogata; Terziari francescani.
SUMMARY
The recent cleaning and restoration of the Christ taking leave of his mother fresco in the Madonna Mora chapel allowed to read most of the long vernacular inscription painted in gothic and originally gilt letters in the upper part of the scene, which previous interpreters of the work found indecipherable or at best legible only in single words or short isolated strings, often misread or wrongly reconstructed and thereby misleading (and/or mislead) also w.r.t. the interpretation of the depicted subject. We could thus recognize it is a prose text – of northern Italoromance linguistic matrix, with a few formal latinisms and only slightly connoted by typical Venetic features – which in 16 lines contains the three replies of a supposed dialogue between Christ and his mother at the moment of their leave prior to the Passion, whose central topic, well consonant with a fresco of recognized funeral destination, is the certainty of final resurrection. The episode, unknown to both canonical and apocryphal gospels, is variously told by the Meditazioni sulla vita di Cristo, an early 14th c. devotional work attributed to a ‘pseudo-Bonaventure’, and the literary compositions partly derived from it, such as the Passione di Cristo cantare, written in 1364 by the Senese Niccolo` Cicerchia and largely widespread throughout the peninsula, and the Devotione de Zobiadı` sancto (Devotion of Maundy Thursday), a long dramatic composition of Umbrian origins (but with a Venetic linguistic patina in the only surviving manuscript, dating back to 1375), destinated to be performed in some church alternating with the Holy Week preaching. And indeed, the text of the inscription shows strong semantic, lexical and phrasal contacts with those works, thus combining some elements of the edifying literature with others taken from the mystery plays connected with the collective rituality of penitent fraternities and intended to support public preaching: this in turn suggests that its unknown author, i.e. probably the painting patrons’ theological advisor, was a friar in touch with both the confraternal world and some cultural and devotional forms of a slightly higher level, much in the kind of those that could be expressed by a congregation of Franciscan tertiaries such as the one that was active at St. Anthony’s already before 1245 (and at least from 1322 was open to woman membership), to which the patron couple depicted in the fresco could possibly belong as well.
Keywords: Madonna Mora chapel; Christ taking leave of his mother fresco; Dialogical inscription; Franciscan tertiaries.
SUMMARY
The essay presents a small bronze cannon of a type known as a culverin in the Wallace Collection, London. Exceptional for the sophistication and beauty of its decoration, the culverin is signed as having been designed in 1577 by one Giovanni Sant’Uliana. Although he and his family have hitherto been all but entirely forgotten, Giovanni (c. 1503-1587) was a leading member of Paduan society, counting Pietro Aretino, Angelo Beolco (Il Ruzante) and Andrea Cornaro among his friends. He played a major role in Paduan civic life and was knighted for his diplomatic and other services to the Venetian Republic. He also had close relations with the Basilica di Sant’Antonio di Padova, in 1562 negotiating on behalf of the Arca the completion of Jacopo Sansovino’s relief of The Miracle of the Maiden Eurilia for the Cappella di Sant’Antonio. Contemporary evidence suggests that Giovanni Sant’Uliana was known for the nobility of his comportment, and he seems to have been passionately interested in notions of chivalry and honour. At the Battle of Lepanto in 1571, Giovanni’s eldest sons Marcantonio and Camillo captained and served on the galley provided by the city of Padua, winning much booty, which adorned the family’s palace in via San Francesco. The small cannon might have been designed to complement in some way these displays. Designed towards the end of Giovanni’s life, it may have been worked up into a model and cast by the Paduan sculptor Vincenzo Grandi (c. 1480/90?-1577/78), with whose refined bronze artefacts, such as candlesticks and inkstands, it has much in common. Giovanni Sant’Uliana is buried in the Santo, in today’s Cappella di Santa Chiara, built after his death by his second son Camillo Sant’Uliana. The architectural decoration remains largely intact, as does the tombstone of Giovanni and Camillo Sant’Uliana.
Keywords: Padua; Basilica of St. Anthony; Sculpture; Bronzes; Cannon; Giovanni Sant’Uliana; Camillo Sant’Uliana; Wallace Collection.
SOMMARIO
Il saggio prende avvio da un piccolo cannone bronzeo, noto con il termine di colubrina, presente nella Wallace Collection di Londra. Oggetto di eccezionale raffinatezza e di bellezza decorativa, risulta essere stato progettato e firmato nel 1577 da un Giovanni di Sant’Uliana: un nome e una famiglia pressochè scomparsi dalla memoria storica. Giovanni (1503-1587ca.) era, invece, una figura di spicco nelle società padovana del suo tempo, legato per amicizia a nomi illustri quali Pietro Aretino, Angelo Beolco (Il Ruzante) e Andrea Cornaro. Per i suoi importanti servizi nella vita civile padovana e per il suo impegno diplomatico a favore della Repubblica di Venezia venne insignito del titolo di Cavaliere. Sono documentati stretti rapporti con la basilica di Sant’Antonio: nel 1562 si adoperò con la Veneranda Arca per chiamare Jacopo Sansovino a realizzare la scultura del Miracolo della fanciulla Eurilia, nella cappella dell’Arca. Altra documentazione lo ricorda per la nobiltà del suo comportamento, interessato a temi di cavalleria e di comportamenti secondo il galateo cortigiano. I due figli maggiori di Giovanni, Marcantonio e Camillo, parteciparono alla battaglia di Lepanto nel 1571, ottenendo un cospicuo bottino di guerra che andò a decorare il palazzo di famiglia nell’attuale via San Francesco. La colubrina in oggetto potrebbe essere stata progettata quale ulteriore elemento per completare l’arredo nel palazzo familiare. Progettato negli ultimi anni di vita di Giovanni, realizzato forse nella bottega dello scultore padovano Vincenzo Grandi (1480/90?-1577/78) potendo leggere nel manufatto in oggetto la stessa raffinatezza presente in candelabri e calamai prodotti nella stessa bottega. Giovanni di Sant’Uliana venne sepolto nella cappella, attualmente dedicata a Santa Chiara, in basilica: cappella realizzata dopo la sua morte, dal secondogenito Camillo, con una decorazione rimasta intatta in gran parte, come si desume dalla pietra tombale tuttora esistente.
Parole chiave: Padova; Basilica di Sant’Antonio; Scultura; Bronzi; Cannone; Giovanni Sant’Uliana; Camillo Sant’Uliana; Wallace Collection.
RÉSUMÉ
Thérèse d’Avila voyait en saint Antoine de Padoue avec l’Enfant «un des grands contemplatifs qui ont aimé leur ami le plus cher». En 1945, Marie Madeleine Davy, historienne et philosophe, comptait Antoine de Padoue parmi les héritiers de la doctrine mystique de Guillaume de Saint-Thierry. Antoine, lui aussi, a puisé aux textes de Guillaume, notamment à la Lettre d’Or. L’invitation était donc tentante de comparer les textes communs, pour en vérifier les convergences et dégager les divergences et essayer de répondre aux deux questions: y a-t-il dépendance d’Antoine par rapport à Guillaume? Antoine a-t-il une doctrine mystique originale ? Vis-à-vis de la première, le résultat nous a paru plutôt ‘‘maigre’’; quant à la seconde, le partage de Guillaume et d’Antoine de l’approche de Dieu par la formule Amor ipse intellectus est, dans la tradition d’Augustin et de Grégoire, nous a semblé répondre aux attentes aussi bien des moines solitaires de Guillaume qu’aux religieux franciscains, engagés dans l’apostolat de la prédication au service de l’Élise de l’après-Concile Latran IV.
Mots-clé: Antoine de Padoue; Guillaume de Saint-Thierry; Spiritualité monastique; Mystique médiévale; Prédication; Franciscanisme.
SOMMARIO
Teresa d’Avila vedeva in sant’Antonio di Padova con il bambino Gesù «uno dei grandi contemplativi che hanno amato il loro più caro amico». Nel 1945 Marie Madeleine Davy, storica e filosofa francese, annoverava Antonio di Padova tra gli eredi della dottrina mistica di Guglielmo di Saint-Thierry. Antonio stesso ha attinto ai testi di Guglielmo, soprattutto alla Lettera d’Oro. L’invito era perciò troppo forte per non cedere alla tentazione di verificare le convergenze e le divergenze tra i testi comuni a Guglielmo e ad Antonio e allo stesso tempo non rispondere a due domande: che tipo di dipendenza di Antonio da Guglielmo? Qual è l’originalità di Antonio rispetto a Guglielmo? Circa la prima domanda, il risultato sembra piuttosto ‘‘magro’’; riguardo alla seconda, il fatto che Antonio condivida con Guglielmo la celebre definizione Amor ipse intellectus est, nella tradizione della teologia affettiva di Agostino e di Gregorio ci sembra risponda sia alle attese dei monaci solitari di Guglielmo che ai religiosi francescani, impegnati nella predicazione, secondo il dettato di Francesco, a servizio della Chiesa del dopo-Concilio Lateranense IV.
Parole chiave: Antonio di Padova; Guglielmo di Saint-Thierry; Spiritualità monastica; Mistica medievale; Predicazione; Francescanesimo.
SOMMARIO
In seguito allo spaventoso incendio della basilica del Santo la notte tra il 28 e 29 marzo 1749, il capitano e vicepodestà di Padova Daniel Dolfin, incaricato dei lavori di restauro, su comando del Consiglio dei Dieci chiese ai presidenti della Veneranda Arca di S. Antonio (tre religiosi e quattro laici) una relazione sull’amministrazione dell’Istituto, le sue rendite annuali, l’attuale loro consistenza, il metodo della distri- buzione, se venivano accorpate con le elemosine dei devoti in un’unica cassa, chi fosse il responsabile ultimo. La lunga e articolata risposta, firmata dal cancelliere Giuseppe Mingoni a nome dei soli presidenti laici, si presenta come un’astiosa e partigiana denuncia contro la presenza dei rappresentanti della comunità religiosa nel consiglio amministrativo, i quali fin dalle origini usurperebbero un potere deliberativo che non è loro consentito dagli statuti influenzando a loro favore anche i presidenti laici, diventando così responsabili di tutti i disordini e della mala amministrazione dei beni, delle rendite, delle elemosine, della biblioteca, degli archivi, gestiti dall’Arca del Santo. Sembra che l’‘‘informazione’’ fornita dal segretario non sia mai uscita dalle mura di Padova.
Parole chiave: Padova; Basilica del Santo; Incendio 1749; Veneranda Arca di S. An- tonio; Presidenti laici.
SUMMARY
Following the dreadful fire of the basilica of St. Anthony on night between March 28 and 29, 1749, the captain and deputy ‘‘Podesta` ’’ (Chief Magistrate) of Pa dua Daniel Dolfin, in charge of the restoration work, at the request of the ‘‘Council of Ten’’ asked from the Members of the Vestry board, the ‘‘Veneranda Arca di S. Antonio’’ – three religious men and four lay people – a report on the administration of the Institution, its annual incomes, their current consistency, the manner of distribution, if those revenues were merged with the alms of the devotees in a single chest box, and who was the ultimate responsible. The lengthy and comprehensive response, signed by the chancellor Giuseppe Mingoni on behalf of the Board lay members alone, appears as a rancorous and partisan complaint against the presence of the representatives of the religious community in the Board of directors. The friars since the beginning would have usurped a deliberative power that shouldn’t be theirs, according to the statutes, exercising their influence over the lay members in their own favor, thus becoming liable for all the disorders and bad administration of properties, income, alms, library and archives, managed by the ‘‘Arca del Santo’’. It seems that this ‘‘piece of information’’, provided by the secretary, has never reached outside the walls of Padua.
Keywords: Padua; St. Anthony’s Basilica; Fire 1749; Veneranda Arca of St. Anthony; Board Lay members.
SOMMARIO
«Una statua di Sant’Antonio venuta dal mare»: questa, in sintesi, la risposta sull’origine del culto da parte dei devoti cingalesi intervistati a Padova. durante il grande raduno annuale del primo maggio per onorare il Santo venuto dal Portogallo di cui Ceylon, l’odierna Sri Lanka, era colonia. Una trentina d’anni fa quei moderni pellegrini che sono i migranti hanno portato il culto nel paese dove avevano deciso di immigrare e che il Santo, lui pure migrante e pellegrino, aveva eletto come nuova dimora: la città di Padova.
Il presente contributo si sofferma innanzitutto sul significato della giornata celebrativa del primo maggio e in particolare sui due momenti distinti e complementari dell’omaggio corale al Santo in Basilica e del ritrovo conviviale in Prato della Valle. In secondo luogo pone alcune questioni relative al tocco della statua e alla frequente identificazione operata dalla religiosità popolare tra raffigurazione del sacro e referente sacro.
Parole chiave: Sant’Antonio; Comunita` cingalese; Padova; Religiosità popolare.
SUMMARY
‘‘A statue of Saint Anthony coming from the sea’’: this is the answer attributed to the origin of the cult by the Sinhalese devotees interviewed in Padua during May 1st annual meeting to honor the saint. A saint originated from Portugal of which Ceylon, today’s Sri Lanka, was a colony. Around thirty years ago those modern pilgrims called migrants have brought the cult back to the country where they had decided to migrate, the very same country where the Saint, a migrant and a pilgrim himself, had chosen as his new home: the town of Padua.
This contribution focuses first of all on the meaning of the celebration on May 1st, particularly of the two distinct but complementary moments of the choral tribute to the Saint in the Basilica, and of the convivial meeting of family and friends in Prato della Valle, the largest square in the city. Secondly, the contribution poses some questions concerning the touch of the statue and the frequent identification by popular religiosity between the representation of the sacred and the sacred referent.
Keywords: Saint Anthony; Sinhalese community; Padua; Popular religiosity.
SOMMARIO
La Nota presenta una lettura analitica del volume di Luca Siracusano dedicato ad Agostino Zoppo, prolifico scultore attivo a Padova tra il 1532 e il 1572, con una nutrita committenza eseguita per la basilica del Santo. La monografia costituisce un’importante rilettura della scultura e dell’arte padovana del XVI secolo.
Parole chiave: Agostino Zoppo; Padova; Basilica di Sant’Antonio; Scultura padovana XVI secolo.
SUMMARY
The Note presents an analytical reading of the volume by Luca Siracusano dedicated to Agostino Zoppo, a prolific sculptor active in Padua between 1532 and 1572, with a large commission for the Basilica of the Saint. The monograph constitutes an important rereading of sculpture and Paduan art of the sixteenth century.
Keywords: Agostino Zoppo; Padua; Basilica of St. Anthony; Paduan sixteenth century sculpture.